Foto e Psicoterapia: Wim Wenders, quando gli scatti diventano racconto
Come spesso accade l'arte "contamina" l'anima e la psiche... e tante volte l'arte ci insegna a guardarci dentro e a conoscerci. Mi piace pensare ai “sensi” come a “porte” attraverso le quali l'uomo conosce il mondo, lo porta dentro di sé, lo rielabora in una propria rappresentazione, per poi restituirlo e comunicarlo di nuovo all'esterno, in un processo circolare di continua decostruzione e ricostruzione. In questo modo, i canali sensoriali diventano le prime vie attraverso le quali comprendere le rappresentazioni interne degli individui stessi e del mondo. L'arte è per sua natura sensoriale, cioè corporea (sensazioni visive, acustiche, tattili, olfattive, percezione ed organizzazione dello spazio) e coinvolge emozioni e processi cognitivi che attraverso vari linguaggi creativi ed il processo di simbolizzazione trovano espressione, dando forma all'esperienza. L'arte è un uso particolare di linguaggi in cui l'organizzazione dell'esperienza sensoriale si carica di profondi contenuti interni alla persona.
Oggi sono andata a vedere la mostra “Appunti di viaggio. Armenia Giappone Germania”, alla Casa della Fotografia, a Villa Pignatelli, Napoli, dove sono esposte fotografie di Wim Wenders.
Le sue fotografie sono porzioni di luoghi, di fatti e di cose, pieni di tracce che ricostruiscono la storia, raccontano gli eventi. Sembra di vedere l'album di famiglia della "STORIA". Si può vedere il dopo, dove è incluso il prima, ed il prima nel dopo. Ogni particolare incastonato nelle foto è metafora della storia delle nostre vite! Il nostro passato, presente e futuro che giocano a nascondino fra di loro...il passato tende a scomparire a causa dei cambiamenti che ci spingono verso il futuro.
Le foto sottolineano quanto sia importante mantenere il contatto con il nostro presente non dimenticandoci mai del nostro passato, delle nostre storie passate, dei nostri desideri e di come questi siano stati e in qualche modo sono e sempre saranno parte di noi anche nella spinta dei nostri progetti futuri.
Non dobbiamo però perdere di vista il presente che viviamo perchè esso rappresenta il nostro passato e futuro. Rappresenta in qualche modo la nostra esistenza, le nostre storie di vita. Attraversiamo molte fasi, momenti, esperienze e tutte ci segnano e ci cambiano eppure, spesso, alcune di esse apparentemente non sono più visibili.
Così è nelle foto: vi sono luoghi limite perché hanno più nature, in bilico tra passato e presente, territori che rappresentano il senso del perduto e l’urgenza del futuro. La ruota panoramica armena, scorticata, deperita e maestosa in un paesaggio desolato, la Trabant irragionevolmente sommersa da un prato e le case piene di finestre o assolutamente prive di aperture, sono tracce che raccontano storie dissonanti.
In arteterapia, il fulcro è legare gestualità, espressività, immaginazione, emozioni, attraverso esperienze di pittura, danza, musica nella forma della produzione diretta; oltre a ciò, il lavoro arteterapeutico non può essere indipendente da un lavoro sul "contatto personale" che anima tutte le esperienze effettuate con i diversi linguaggi.
Le foto della mostra ci comunicano che dobbiamo essere attenti osservatori delle nostre vite, delle nostre storie!
Così nei paesaggi naturali, nel verde sconfinato o in un lago vibrante, l’essere umano si intrufola come una presenza costante e distruttiva, lasciando oggetti corrosi, immondizia, scarti di industrializzazione e di vita. Dobbiamo prestare attenzione ai "nostri oggetti di vita" persi qui e lì nel corso della nostra vita.
L'arte rende possibile “vedere”ed “esprimere”molto più di quello che le parole possono fare, poiché si tratta di una comunicazione densa di significato intrinseco, che viene percepita emotivamente, anche da chi ne fruisce, in modo diretto.
Essa incorpora idee, sentimenti, sogni, aspirazioni. Narra e veicola un'ampia gamma di emozioni, da immensa gioia a profondo dolore, dal trionfo al trauma. In tal senso l'arte serve come mezzo di comprensione, di attribuzione di senso e al fine di chiarire esperienze interiori senza parole, che spesso sono insufficienti o mancano nel descrivere i propri vissuti, oppure possono servire da copertura e come tali non permettere un contatto profondo con il proprio mondo interiore.
Il percorso della mostra si conclude con un testo del regista. Voglio riproprvelo perchè secondo me può essere metafora del modo in cui noi ci potremmo incuriosire delle nostre vite: i luoghi sono le nostre vite e le nostre esperienze.
Luoghi, inconsueti e solitari
Quando si viaggia molto,
e quando si ama semplicemente vagare
e perdersi,
si può finire nei luoghi più bizzarri.
Ho una grande attrazione per i luoghi.
È quasi una sorta di dipendenza.
Altre persone sono dipendenti da droghe o dal calcio,
(beh, anche io…)
dai soldi, dalle automobili, dal successo, o da qualsiasi altra cosa.
Io adoro i luoghi.
Mi lego talmente a loro,
che posso sentire nostalgia per una dozzina di luoghi contemporaneamente.
Cosa c’è di speciale nei luoghi?
Innanzitutto, ne sono molto incuriosito.
Già solo guardando una mappa,
i nomi delle montagne e dei villaggi,
dei fiumi, dei laghi e dei vari paesaggi,
mi eccitano
pur non conoscendoli
e non avendoli mai visitati.
Leggo i nomi
e immediatamente vorrei vedere quei luoghi.
Lo stesso mi accade con le città!
I nomi delle aree, delle piazze, delle vie o dei palazzi
evocano in me un ardente desiderio di visitarli.
Certo non sempre mi piace quello che trovo.
Ma molto spesso sì.
È fortuna?
Ho imparato dalla mia lunga esperienza
nel cercare i luoghi
che si tende a trovare
esattamente ciò che si DESIDERA trovare.
Anche altre persone trovano cose incredibili, ovviamente,
ma sembrano raggiungere risultati diversi rispetto ai miei.
Hanno mentalità diverse, prima di tutto,
e sono alla RICERCA di altro.
Il mio senso di luogo
è impostato su ciò che è “fuori luogo”
Tutti girano a destra perché
“lì c’è qualcosa di interessante”,
io vado a sinistra
“dove non c’è niente”,
ed è quasi certo,
che io mi trovi dinnanzi il “mio tipo di posto”.
Non so,
è come una sorta di radar incorporato
che spesso mi indirizza verso luoghi
inconsuetamente solitari,
o solitariamente inconsueti.
Sto lì e semplicemente non posso credere a quello che vedo…
È questa la mia sensazione preferita.
Si potrebbe iniziare a capire
da dove deriva la mia insaziabile fame di luoghi sconosciuti:
deriva dal fatto
che nel mondo
esistono luoghi e spazi così incredibili
da non riuscire ad essere immaginati neanche nei sogni più fantasiosi,
in colori e forme mai visti,
con i particolari più folli,
in costellazioni impossibili.
Questa è la motivazione per cui non mi interesso
alle immagini generate dai computer,
e a tutte le foto in cui oggi il mondo è riprodotto artificialmente
combinate, manipolate, inventate o composte
per creare una “nuova realtà”
Qual è il “grande dilemma”?!
La realtà che scopro,
ogni volta e in ogni dove,
quei luoghi inconsueti e solitari,
sono così più coinvolgenti ed emozionali, nel mio book,
per il semplice motivo
che esistono.
La maggior parte delle volte con umiltà,
talvolta con orgoglio,
spesso dimenticati
e raramente noti.
Non c’è nulla di più bello sotto il cielo di Dio,
che l’incredibile,
strabiliante,
infinita
varietà di luoghi,
che realmente
esiste.
Wim Wenders
tratto da: Places, strange and quiet
Articolo divulgativo a cura di Dott.ssa Cristina Puglia Psicologa e Psicoterapeuta